Partecipazione dell’ANAP all’incontro-dibattito che ha concluso il 30° Festival del Teatro Urbano di Roma, organizzato da Abraxa Teatro. Tra gli ospiti del Direttore Artistico Emilio Genazzini, il Maestro Eugenio Barba, i Docenti Lucio Argano (Università Cattolica), Clelia Falletti e Chiara Crupi (La Sapienza), Gabriele Sofia (Roma Tre).
Il 31 agosto 2024 si è tenuta presso il Giardino degli Aranci in Roma, la serata conclusivo del 30° Festival Internazionale del Teatro Urbano (“Scenarte”). A seguito dello spettacolo “Vita di Mr Peanut” di Julya Varley dell’Odin Teatret, il Direttore Genazzini ha introdotto un dibattito sul futuro dei Festival del Teatro di Strada.
Per l’ANAP ha partecipato il Direttore Alessio Michelotti, con un intervento che ha messo in luce le contraddizioni del sistema culturale italiano che non contempla tra le attività degne di investimento pubblico, quelle del teatro di strada.
Lucio Argano, già Presidente del Consiglio Superiore dello Spettacolo dal 2020 al 2022, ha confermato che quello del Teatro di Strada è principalmente un problema di legittimazione. Le attività del settore devono accreditarsi presso il Ministero così come presso i soggetti che ad oggi hanno più influenza sulle politiche culturali inerenti lo spettacolo. Questo percorso prevede uno scatto di carattere culturale oltre che politico.
Clelia Falletti e Chiara Crupi hanno presentato la riedizione del Libro “Promemoria del Teatro di Strada”, del quale la stessa Falletti fu autrice insieme al marito Fabrizio Cruciari (anch’esso apprezzato accademico, tra i fondatori del DAMS di Bologna) alla fine degli anni ’80. Un lavoro ispirato da Renzi Vescovi, compianto regista del Teatro Tascabile di Bergamo. La nuova edizione, per i tipi di Editoria & Spettacolo, riporta una sezione di aggiornamento dove si descrive l’evoluzione che lo spettacolo urbano ha avuto negli ultimi trent’anni.
Gabriele Sofia si è concetrato sulla necessità di definire meglio la domanda di teatro urbano, e quindi i caratteri dello spettatore, indagine attraverso la quale le istituzioni potrebbero rendersi maggiormente consapevoli della straordinaria funzione sociale e di audience development di questa disciplina.
L’intervento di Eugenio Barba è stato un racconto di esperienze e aneddoti di una vita dedicata al Teatro e alla democratizzazione del teatro. Nello svelare il “miracolo” del percorso dell’Odin Teatret Barba ha sottolineato come si possa fare teatro ormai ovunque. Il teatro, ha detto, è ormai più fuori che dentro le sale. All’età di 87 anni, ma ancora assolutamente vivace e attivo, ha incitato tutti i giovani a continuare a praticare e pretendere un teatro libero dal gioco del mercato, e dei cliché.
Di seguito riportiamo integralmente l’intervento di Alessio Michelotti, direttore ANAP.
Io partirei da Opole dove sono stato ad inizio mese per il festival Open Opole, un festival di teatro di strada organizzato da Proscenium, una compagnia di Gliwice che è partner di un nostro progetto di cooperazione internazionale. Il progetto si chiama Miti e Maschere del Futuro: è finanziato dall’Unione Europea e coinvolge organismi teatrali che lavorano sul teatro urbano e sul circo contemporaneo in Italia, Belgio, Francia, Polonia. Per l’Italia il capofila è la Compagnia dei Folli ed è partner il Centro Maschere Sartori.
Parto da Opole perché ho letto che l’incontro tra Eugenio e Jerzi Grotowsky è avvenuto lì. Questo incontro ha cambiato la storia del teatro e in questo nuovo corso è stato determinante quello che è successo nelle strade e nelle piazze.
Ho trovato il Festival Open Opole un festival con una qualità molto elevata, con una visione veramente europea, e una capacità di mescolare teatro di ricerca, teatro politico, arte di strada, circo. L’attenzione e il rispetto del pubblico polacco per il lavoro delle compagnie che hanno partecipato al festival, alcune anche con progetti complessi (non scontati), mi ha sorpreso. Mi chiedo spesso perché in Italia non conosciamo quella stessa attenzione.
Credo ci sia un gap culturale nel nostro paese, il pubblico italiano – ma più in generale il Sistema Culturale Italiano – riconosce le proposte artistiche solo se sono benedette dal sistema mediatico. Trent’anni di televisione commerciale, di talent show, quindici di social media, hanno impoverito la nostra identità culturale, culla della Commedia dell’Arte, del teatro moderno, del melodramma.
Ad Opole abbiamo ospitato 20 direttori artistici di altrettanti festival di spettacolo urbano europei. Festival che si svolgono in città grandi e piccole e che rappresentano occasioni per l’innovazione e l’incontro dei linguaggi, che svolgono una funzione insostituibile di audience development (soprattutto in senso qualitativo, oltre che quantitativo), che rafforzano e promuovono l’identità culturale europea.
Conosciamo molto di quello che succede nell’Occidente europeo rispetto alle arti Performative, sperimentiamo l’egemonia di paesi come la Francia e il Regno Unito. Pochissimo invece sappiamo del fermento culturale che caratterizza l’Est. Alla vetrina di Opole ha partecipato anche uno dei più grandi eventi culturali d’Europa: Sibiu International Festival, Romania. Quanti sanno che quell’evento non ha nulla da invidiare a Edimburgo o Avignone?
In generale possiamo dire che il teatro di strada in Europa gode di buona salute. Non è un fenomeno di nicchia, ma anzi assume i caratteri di una vera e propria tendenza, esonda e travalica i recinti dei settori, si insinua anche nella produzione dei teatri più blasonati, contaminandone il linguaggio, arriva da per tutto e prende forme diverse a seconda dei contesti. Potremmo definirlo un teatro liquido.
Ed è un teatro autenticamente europeo
, perché è espressione del teatro fisico di Grotowsky quanto della tradizione della Commedia dell’Arte italiana, della tradizione del Teatro di Figura Ceca, della tradizione del Circo dell’Est. Potrei continuare…
Ma allora perché in Italia ci sono così tante resistenze ad ammettere il teatro di strada nel novero delle attività teatrali degne di riconoscimento?
Questo ritardo, questa lacuna, a mio avviso è una nostra responsabilità collettiva. Degli incidenti che a mio avviso hanno portato l’Italia a questa stagione di regresso culturale, ho già accennato, ma ci sono anche – sempre a mio umile giudizio – responsabilità dirette di noi artisti, registi, produttori, organizzatori.
Ci siamo accontentati di un sistema ministeriale ingessato e conservativo, impermeato sul meccanismo dei borderò. Penso a tanti circuiti, che pur dimostrando in una certa fase della propria affermazione un certo interesse
per politiche culturali più aperte e trasparenti, si sono poi adagiati su prassi come quella dello scambio e hanno perseguito rendite di posizione. È successo così per il teatro ragazzi, in parte per il teatro di figura e per altri nuovi ambiti.
I sindacati, per tutelare la figura dell’attore, hanno combattuto strenuamente contro la nascita di una figura di attore indipendente. E oggi, uno dei problemi più grandi di chi si approccia al circuito del teatro di strada nel nostro paese è l’assenza di un profilo giuridico, fiscalmente e previdenzialmente autonomo, attraverso il quale svolgere la propria attività verso committenti che spesso non provengono dall’ambito teatrale.
Io ho cominciato la mia avventura di operatore del te
atro di strada, organizzando i miei primi festival negli anni novanta. Ho ospitato nelle mie piazze tante compagnie e produzioni del cosiddetto “Terzo Teatro”, dal Quijote del Teatro Nucleo a Valse del Teatro Tascabile, dal Teatro de Los Andes di Cesar Brie al Due Mondi di Faenza.
Ma il fenomeno nuovo e estremamente interessante di quel periodo è stato quello degli artisti di strada. Una miriade di artisti singoli e piccole compagnie che, pur navigando a vista tra l’impossibilità di autoorganizzarsi e la totale assenza di sostegni pubblici, ha saputo conquistare la scena, costruire un circuito capillare con oltre 200 manifestazioni dedicate a queste forme.
Sono stati loro ad entrare nel FUS come Teatro di Strada, prima come festival e poi come esercizio teatrale. E ricordo ancora convegni organizzati da settori del teatro “nuovo” e “terzo” che si accapigliavano sostenendo come questo fosse un fenomeno attinente al “folklore” e non al teatro.
Ecco uno dei problemi di noi italiani. Non riusciamo mai ad essere uni
ti, a riconoscere le affinità prima delle differenze. Ecco perché in Francia le riforme si fanno e da noi no.
È vero: gli artisti di strada pagano ancora oggi lo scotto dell’immagine stereotipata e anarcoide che prima degli anni 2000 i festival italiani davano di loro, ma oggi è impossibile non rilevare la crescita artistica e professionale che c’è stata nel settore, all’estero molto più che in Italia (penso ad esempio all’azione di promozione che ha svolto in Francia Hors Les Murs fino ai primi anni 2000). Non si può più parlare di un teatro degli spazi aperti senza creare un ponte tra la ricerca degli anni settanta e ottanta e il circuito professionale dell’arte di strada degli ultimi venticinque anni.
Concludo.
La nostra associazione nazionale l’Associazione Nazionale delle Arti Performative, nasce nel 2015, sulle ceneri della Federazione dell’Arte di Strada (anche nell’arte di strada ci sono state molte divisioni, ad esempio tra chi aveva una p. Iva e chi si definiva “artista puro” perché il denaro lo riceveva nel cappello dal pubblico). È una associazione piccola al momento ma molto determinata. Durante il COVID è stata una delle poche realtà dello spettacolo dal vivo a reagire alla gestione della pandemia con una campagna denominata SENZA CULTURA SI MUORE. Altre proponevano di utilizzare i Cani Anti Covid all’ingresso dei teatri.
Stiamo lavorando ad una campagna senza precedenti che culminerà il 24 ottobre con un incontro in senato, nel quale puntiamo a coinvolgere forze politiche di opposizione e maggioranza.
Vogliamo rivendicare il fatto che il teatro non è buono o cattivo a seconda del luogo di rappresentazione. Che un settore che da lavoro a migliaia di giovani e meno giovani, qual’é oggi quello dello spettacolo urbano, che ha un impatto così elevato sulla sensibilità teatrale del pubblico italiano, non può essere la cenerentola del sistema di sostegno pubblico allo spettacolo.
Vogliamo ricordare che il teatro è prima di tutto un rito sociale e che la resilienza e la rigenerazione urbana cominciano nelle piazze prima ancora che nelle sale teatrali, tra poltrone imbottite e velluti rossi.
Per cogliere questo obiettivo abbiamo bisogno del sostegno di tutti. Di una condivisione totale tra tutte le esperienze artistiche e i settori che possono condividere questi valori. Di mettere da parte i mille distinguo che ciascuno potrebbe avanzare e convogliare su quell’incontro le migliori energie intellettuali e le più significative testimonianze a favore di un teatro aperto, un teatro che stia con la gente, che sia capace di farsi interprete del sentimento del nostro tempo.
Mi auguro che questo possa accadere.
Grazie